Perché scattare in analogico fa (anche) bene alla salute

foto analogica bianco e nero concerto

Scatto a mano libera, Estate Sforzesca 2019 - Hp5@1600 Iso

Qualche anno fa scrissi un post che parlava del perché scattare fotografie in analogico, ho rivisto e aggiornato quel post, compreso il titolo.

Ogni volta che guardiamo un'immagine sul web stiamo, con grande probabilità, guardando un’immagine creata in digitale.

Guardiamo schermi (come quello che ho davanti adesso), tv, cellulari, oramai anche cartelloni pubblicitari, tutti in gara per una “qualità superiore", una qualità che ha però da tempo dimenticato il valore più alto di questa parola ed è diventato un mero termine indicante qualcosa che semplicemente è migliore a livello di definizione, ma che non ha nulla a che vedere con la tridimensionalità della vita reale o del modo in cui la luce definisce fisicamente un’immagine semplicemente posandosi su una superficie o attraversando lo spazio.

L’inseguimento della qualità in alta definizione ha portato la tecnologia a correggere la realtà, filtrandola, esaltandola ed eliminando (a suo dire) le imperfezioni. Le immagini in questo modo sono diventate iper-reali.

Quando parliamo di fotografia digitale stiamo parlando di sensori che analizzano, in bianco e nero, la luminosità che hanno davanti e, con complessi calcoli, associano ad ogni pixel una tonalità, un colore, una luminosità.

Nulla di quello che c’è in una fotografia digitale ha a che fare con la natura fisica della luce. L’immagine digitale, visualizzata attraverso uno schermo è per lo stesso motivo molto diversa da una stampa sulla quale si è impressa un’immagine con un processo fisico.

La fotografia digitale ha le sue ragioni, può essere comoda, veloce, può immagazzinare più informazione, è versatile, modificabile, consumabile, ma allo stesso tempo non è affatto semplice, non è vero che ti fa risparmiare tempo (te ne fa perdere un sacco che non si vede). Il risultato finale è di gran lunga meno realistico e ricco di sfumature e gamma dinamica di una fotografia fatta con un banco ottico del 1900.

La fotografia analogica ha un approccio completamente diverso, hai a che fare con qualcosa di manuale, di meccanico, con qualcosa che il nostro cervello è in grado di comprendere.

Anche la fotografia analogica può essere complessa, ma anche la sua complessità, più legata alle fasi di esposizione, di visione creativa, di sviluppo e di stampa, è in qualche maniera anch’essa una complessità “lenta”, e non ha nulla a che vedere con quella invece “veloce” di un impostazione frenetica di un menù sul retro di una fiammante Sony Alfa di ultima generazione.

La fotografia analogica richiede attenzione alla luce, capacità di osservazione, manualità e artigianalità in camera oscura, che è, se vogliamo, anche la vera parte creativa e artigianale dell’intero processo fotografico.

Ho scritto un post che parla proprio delle immagini digitali e della stampa analogica se vuoi approfondire. Come tutti i post che scrivo, li scrivo esprimendo il mio punto di vista.

Esporre la vista in maniera costante alla lettura di pixel non possiamo dire che sia una cosa naturale per l’occhio umano, leggere immagini attraverso i pixel alla lunga diventa dannoso.

Per i nostri occhi (e quindi per il nostro cervello), analizzare immagini sintetizzate della realtà non è sano e quindi non lo è per la nostra salute in generale. Sono troppo drastico? Leggete questo articolo di Business Insider, di fatto analizza un video apparso su U.S. Today che spiega i danni che la nostra prolungata attività al computer reca alla salute.

Lo so, può sembrare un'affermazione definitiva, ma i pixel (cioè i minuscoli quadratini luminosi dei nostri apparecchi digitali) non hanno nulla a che vedere con la realtà della luce e dei colori che esistono in natura, i pixel di fatto vengono "inventati" dal sensore digitale per codificare dei segnali. Nulla a che vedere con la luminosità, il contrasto e perfino con il bianco e nero che i nostri occhi registrano osservando una persona o un oggetto per esempio al tramonto o sotto una fonte di luce.

Stampa fatta a mano in camera oscura su carta baritata Ilford Fb Classic lucida, da negativo 35mm hp5 _Qua scansionata da Epson V800 - 2018

A furia di consumare immagini digitali e osservare una realtà iper-reale, sempre più brillante e satura di colori, ma sempre più (passatemi il termine) "taroccata", perdiamo la capacità di percepire la luce, e con essa, di percepire la cosa più importante: una realtà armonica in tutte le sue tonalità.

Le sfumature, le imperfezioni e la naturalezza di un lavoro in pellicola, sono tali proprio perché vi si arriva con lentezza facendole affiorare dal negativo e poi dalla carta. Una fotografia analogica è il risultato di impegno, riflessione, scelte:

Scelte del tipo di rullino usato (cioè della gamma dinamica, della grana e risoluzione rispetto alle condizioni di luce) scelta dei processi chimici adatti per quel tipo di scatto (sviluppo del negativo), prove di stampa alla ricerca della giusta dinamica (ingrandimento del negativo sul foglio).


Scattare in analogico non è, per riassumere, una questione di stile o una questione filosofica: è piuttosto una questione di scelte e di qualità della realtà per come la vogliamo vivere e osservare ed è anche una questione di salute.

La mia camera oscura

La complessità affascinate e perfetta delle apparecchiature analogiche infatti è ancora in grado di tenere alto il vessillo della qualità e dell’alta definizione ed è durevole nel tempo.

Infine, dal mio punto di vista, scegliere di non seguire i trend tecnologici, smettere di rincorrere modelli più complessi e più performanti dei precedenti, non farsi intrappolare dall’obsolescenza del digitale è sostanzialmente una scelta etica che va ben oltre la specifica passione per la fotografia, e che invece cerca di seguire ciò che reputo più importante per me: assaporare il processo creativo della fotografia.

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