10 impareggiabili qualità della fotografia analogica

Joel Meyerowitz - dal libro “cape light” - negativo colore 8’x10’

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    Ma cosa avrà di così speciale la fotografia analogica? Oggi giorno escono mensilmente capolavori ingegneristici di mirrorless, lenti apocromatiche e schermi ribaltabili touch screen da milioni di pixel, eppure, dai grandi fotografi ai registi più famosi del cinema di oggi, la pellicola è ancora il mezzo che più si avvicina al loro ideale di fotografia.

    Se sei curioso di scoprirlo, in questo articolo approfondiremo le prerogative della fotografia analogica, soffermandoci sui 10 aspetti che la contraddistinguono

    Il negativo come superficie spaziale

    Due negativi 8’x10’ nelle confezioni di Pergamino - dal sito di Fotoimpex

    Forse lo diamo per scontato, oppure neppure ci abbiamo riflettuto, ma se c’è una cosa che più di altre contraddistingue la grandezza (in tutti i sensi) della fotografia analogica è proprio la sua parte più importante: il negativo. Vediamo allora perché questa superficie è così importante e si differenzia così tanto dal mondo digitale.

    Non è un fattore soggettivo, è oggettivo: La pellicola è qualcosa di fisico, tridimensionale, è composta da uno strato (emulsione) di polvere d’argento (più precisamente di alogenuri d’argento) stesa su tutta la superficie del negativo, questi minuscoli granelli di argento sono poi ricoperti da una speciale gelatina che ha lo scopo di fissarli sulla superficie del negativo pronti per essere così esposti alla luce. .Ed ecco la parte più importante:

    Ogni alogenuro d’argento rappresenta, nello spazio fisico del negativo, una unità esatta dell’intera scena inquadrata dalla fotocamera.

    Il negativo non cattura solo la luce, ma anche i singoli punti nello spazio da dove essa proviene. Possiamo quindi parlare di unità di superficie.

    Un ingrandimento atomico delle particelle di alogenuro d’argento presenti in un negativo bianco e nero

    Questa spazialità è qualcosa di unico, ed è proprio questa caratteristica a determinare la tridimensionalità che la pellicola possiede.

    Un ingrandimento atomico delle particelle di alogenuro d’argento presenti in un negativo bianco e nero

    Se ingrandiamo un negativo fotografico manterremo sempre il rapporto tra le unità di superficie. La pellicola è il mezzo migliore per essere ingrandito e stampato perché quello che stiamo vedendo rappresenta fedelmente la scena che abbiamo ripreso.

    Al contrario, nel sensore digitale non ci sono informazioni sullo spazio e l’immagine viene catturata per punti, delegando quindi al computer il posizionamento di quei punti nello spazio (per ogni ingrandimento, visualizzazione, stampa). Questa non è più fotografia, è un’invenzione digitale della realtà.


    La latitudine di posa

    Uno dei grandi vantaggi di usare la pellicola per fotografare (o per filmare) è la sua latitudine di posa.

    Scansione di un negativo 35mm Hp5 (400 iso esposta a 100 iso e trattato in sviluppo. Da notare la grande ampiezza tonale registrata tra le zone in ombra e in luce. Non è stata fatta nessuna post-produzione o manipolazione.

    Immaginiamo di essere in un salotto illuminato da una bella vetrata in un pomeriggio di sole. Se ci allontanassimo di qualche metro vedremmo chiaramente che la parte della sala non illuminata direttamente dal sole è molto più scura, per esempio le parti sotto la finestra, oppure le ombre formate dagli oggetti.

    Per definire questa differenza di luminosità tra le parti chiare e quelle scure usiamo il termine contrasto e, per indicarne l’ampiezza in termini fotografici usiamo il termine gamma dinamica.

    Ma che cos’è allora la latitudine di posa?

    La latitudine di posa è la capacità di una pellicola (o di un sensore), misurata in f/stop, di registrare nel contempo le zone più chiare e quelle più scure dell’immagine.

    In sostanza quanti più stop misuriamo tra una zona chiara ed una scura della scena da riprendere tanto più ampia dovrà essere la latitudine di posa per registrare tutte le sfumature tra questi due estremi.

    La pellicola ha la capacità per esempio di registrare infinitamente meglio i contrasti di luce diretta, i controluce o tutte le situazioni in cui sono presenti queste condizioni estreme, mantenendo al contempo dettagli e la naturalezza delle alte luci.

    Il digitale sta cercando di recuperare terreno, per esempio con l’uso di iso molto elevati, ma la tecnologia digitale è ancora molto lontana dalla capacità di catturare tutti i dettagli e le intensità della luce.

    Impariamo a non scattare

    Partiamo da un primo aspetto, scattare in pellicola cambierà (in meglio) le nostre abitudini di scatto. Le cambierà per un insieme di fattori, tra cui quello più palese: l’ottimizzazione degli scatti.

    Ma cosa significa?

    Forse è qualcosa che accade in maniera inconscia, forse no, ma una volta cha inizieremo a scattare in analogico succerà che, semplicemente, impareremo ad osservare quello che abbiamo davanti in una maniera del tutto nuova, e a scegliere di non scattare.

    Scattare in analogico significa dare estrema importanza al singolo scatto, imparare a pre-visualizzare la fotografia che vogliamo ottenere, stando quindi attenti alle scelte che facciamo.

    Scegliere di non scattare porterà due vantaggi:

    1. meno fotografie da scartare

    2. più fotografie di qualità

    In due parole, ridurremo gli scatti “d’impulso” e aumenteremo gli scatti di qualità.
    Come mai accade tutto ciò?

    La risposta sta nel capitolo che segue.

    Impariamo a conoscere la luce

    Lo studio di Irving Penn - New York - Dal Libro “Centennial”

    La fotografia analogica è luce, lo è nel vero senso della parola, come abbiamo visto nel primo punto di questo articolo sulla superficie del formato, per questo fotografare in analogico significa ricercare la luce. Questo concetto dovrebbe valere per ogni mezzo fotografico, ma per la fotografia analogica è qualcosa di imprescindibile.

    Per scattare in analogico devo pre-visualizzare la mia fotografia e conoscere il comportamento della luce che sto fotografando.

    Ho scritto un articolo che parla di come esercitarsi ad osservare la luce e delle sue caratteristiche perché, una volta caricata la pellicola in macchina, riuscire ad interpretare la scena che vediamo nella maniera corretta, ci consente di scegliere per esempio il diaframma, il tempo, il filtro, o più semplicemente la posizione migliore per eseguire quello scatto.

    Per trovare la luce migliore proviamo diverse posizioni, impariamo a spostarci. Se abbiamo una macchina fotografica a mano, una volta osservata la scena che ci ha colpito, se possiamo prenderci del tempo, semplicemente proviamo a sposarci di qualche metro, proviamo a controllare tutti gli aspetti che possiamo controllare. E poi scattiamo.

    In merito alla luce e alla fotografia analogica sfruttiamo la latitudine di posa e sperimentiamo senza paura. Una cosa è certa:

    Nessuno scatto in analogico è uno scatto sprecato, ma può dare sempre la possibilità di imparare una lezione.

    La naturalezza dei colori

    Dal film di Terence Malik - Tree of Life, girato in pellicola con luci naturali

    Joel Meyerowitz - fotografia 8’x10’ grande formato, dal suo famosissimo libro Cape Light

    Mentre l’occhio umano percepisce la luce riflessa in un intervallo dello spettro luminoso chiamato spettro visibile, l’emulsione fotografica ha una sensibilità spettrale (la lunghezza d’onda della luce stessa) molto più elevata.

    Abbinando a questa caratteristica la capacità di restituire ampie variazioni tonali (nel bianco e nero come nel colore), la pellicola, grazie alle proprietà della sua gamma dinamica, ci permetterà di ottenere un risultato irraggiungibile con il digitale, in particolare nella fotografia di grande formato.

    Questo vantaggio è evidente, per esempio, nella resa naturale dei colori e nelle infinite sfumature e tonalità delle immagini. Nella foto di copertina Joel Merejovitz ha usato una fotocamera di grande formato per catturare tutte le sfumature possibili di colore. Se ti interessa approfondire l’argomento in questo blog troverai un articolo sui formati della fotografia analogica.

    Non a caso nel cinema, Quentin Tarantino, Christopher Nolan, Steven Spielberg e Wes Anderson girano i loro capolavori prevalentemente in 35mm.

    La vera stampa fine art

    Mario Giacomelli_Nel Sogno. Stampa ai sali d’argento. Viraggio al selenio.

    Entrare in camera oscura e stampare con le proprie mani è qualcosa di unico e indimenticabile, e non solamente per l’esperienza che ci dona, ma per la qualità che solo una stampa da negativo ci può dare.

    Una stampa da negativo su carta baritata (la migliore carta da stampa in commercio, cioè vera cellulosa al 100% ) è qualcosa di fisico, di scolpito, di vero. Le possibilità creative sono pressoché infinite e i successivi trattamenti, i lavaggi e i viraggi, come per esempio il viraggio al Selenio, restituiscono un oggetto Fine Art che può durare oltre 100 anni. E il tutto è fatto a mano.

    Oggi giorno sono in moltissimi a stampare da negativo (anche colore) e poi a scansionare le stampe.

    Ecco i vantaggi di stampare in camera oscura da negativo (non solo per la stampa fine art vera e propria):

    1. Resa reale della foto scattata

    2. Tridimensionalità spaziale elevatissima

    3. Resa insuperabile dei colori e dei neri

    4. Infinite possibilità creative

    5. Stampe fine art per mostre e musei

    6. Centennale durata

    7. Unicità dei singoli oggetti

    Ho scritto un articolo che parla del perché consiglio di stampare le proprie fotografie in camera oscura, ed è proprio per questa prerogativa che, avere una fotografia stampata in camera oscura, è totalmente diverso che una qualsiasi stampa a iniezione d’inchiostro.

    La grana naturale delle pellicole

    Trent Parke - Untitle | Minute to Midnight book

    Ogni pellicola ha una grana specifica. Lo so, chi scatta in digitale sembra rifuggire dal concetto di grana, e forse perché, nel digitale, la grana è qualcosa di finto, come un errore di sistema (e in effetti…) ma nel mondo analogico la grana è tutta un’ altra cosa:

    La grana è la sostanza stessa della luce.

    Come dicevo, le pellicole hanno caratteristiche proprie, e si dividono in:

    • Tipologia: bianco e nero / colore /

    • Sensibilità: bassa, media, alta, x-ray

    • Formato :35mm, 120mm ecc.. (scopri di più sui formati in questo articolo)

    La sensibilità è il fattore che incide direttamente sulla grana delle nostre pellicole. Le pellicole a bassa sensibilità (25/40/100 iso) hanno una grana molto fine, praticamente impossibile da vedere se non grazie a forti ingrandimenti. Più saliamo di sensibilità e più avremo una grana visibile. Ma perché ho messo la grana della pellicola come fattore positivo in questo articolo?

    Perché la grana è l’essenza stessa delle cose. Perché la grana può essere una forma espressiva fondamentale ed è sempre colei che scolpisce la luce che cade sugli oggetti in tutte le sue forme.

    Oltre la risoluzione

    Una negativo su lastra 4x5 Iford Hp5 della cantante americana Jen Morel

    Un sensore digitale è costruito per analizzare dei punti, la pellicola, invece, cattura la luce per unità di superficie.

    Una negativo su lastra 4x5 Iford Hp5 della cantante americana Jen Morel

    La pellicola può essere di diverse dimensioni e di diverse sensibilità:

    La dimensione del film è direttamente proporzionale alla capacità di raccogliere dettagli. Se a questo ci aggiungiamo il fattore sensibilità (iso) siamo di fronte alla massima qualità possibile, sia per risoluzione per linea sia per quanto riguarda la gamma dinamica, sia per quanto riguarda la spazialità che solo il negativo è in grado (ad oggi) di restituire.

    Per dare due numeri da wikipedia:

    • Un negativo 35mm può registrare una risoluzione equivalente a 87 milioni di pixel (Fuji Velvia 50 iso 35mm)

    • Una lastra 4’x5’ (large format film) fino a 298.7 milioni di pixels

    • Una lastra 8’x10’ (large format film) fino a un miliardo e 200 milioni di pixel

    Insomma, non proprio male per una tecnologia che ha più di 100 anni!

    Più fini e fitti sono gli alogenuri d’argento di cui è cosparsa, più questa avrà una bassa intensità (bassi iso) ed una alta risoluzione, più grossi saranno gli alogenuri d’argento e più veloce e sensibile alla luce sarà la nostra pellicola (con conseguente minore risoluzione).

    Se stiamo quindi cercando la naturalezza di un’immagine unita alla migliore risoluzione possibile, la fotografia analogica è la risposta.

    Ogni anno escono sul mercato nuovi sensori e macchine fotografiche di ultima generazione che, presto o tardi arriveranno ad uguagliare (forse) lo standard dell’analogico, ma un aspetto da approfondire credo possa essere quello dei costi. Se per fare una fotografia da 87 mega pixel in analogico (35mm) avrò un costo massimo sotto i 400 euro, in digitale una medio formato non costa meno di 4.000 euro. Se lo voglio fare da 300 mega pixel? Forse qualche decina di migliaia di euro, quando un banco ottico usato e un pacco da 50 pose mi costano non più di 1500 euro. La strada è ancora lunga.


    Durata del negativo e delle stampe

    Little ItalyMulberry Street, 100 | dal sito Laputa

    Hard Disk

    Forse inventeranno qualche sistema per conservare le migliaia di fotografie che ogni anno vengono scattate da cellulari e macchine fotografiche digitali, ma il costo dei materiali, degli hard drive sommato a quello della durata dei supporti, quanti anni può durare? Non molti. Una delle più note aziende di storage, la Backblaze, ne ha analizzato la durata media:

    Il 90% di Hard Disk “muore” entro 3 anni di uso, il restante 90% al 4°anno, non proprio un sistema su cui contare.

    La pellicola e le stampe sono sempre state le vere protagoniste della storia e lo saranno ancora a lungo. Una pellicola nel suo porta pellicole (in pergamino, non in plastica) può durare tranquillamente oltre un secolo.

    Fra 100 anni chi ritroverà i nostri negativi dovrà semplicemente alzarli alla luce del sole per scoprire le storie del nostro presente.

    Se parliamo di stampe analogiche in bianco e nero processate con tecniche Fine Art, queste possono addirittura durare centinaia di anni, e anche le fotografie di famiglia del secolo scorso sono testimonianza reale della durata e della qualità di questa tecnologia.

    Insomma, se vogliamo creare qualcosa che ci sopravviva, l’analogico è ancora la migliore scelta.


    La fotografia come meditazione

    Una stampa del progetto fotografico “Native

    Ho lasciato per ultimo questo punto ma non è il meno importante, anzi, forse è il punto più personale fra tutti quelli appena visti: scegliere la fotografia analogica come forma di meditazione.

    Come ho scritto nell’articolo sul perché si dovrebbe stampare le proprie fotografie

    l’essenza della fotografia analogica è il processo

    Scegliere la fotografia analogica ci impone di approfondire, di scegliere, di provare, di sperimentare. Scattare una fotografia senza poterla vedere subito dopo alimenta l’immaginazione, la pre-visualizzazione, l’attenzione.

    Lontani dall’ansia dello scatto compulsivo ci possiamo riappropriare dell’osservazione e soprattutto dello spazio concesso dal tempo tra lo scatto e la sua nascita in camera oscura.

    Dopo un po’ di tempo ci si accorgerà che l’unica cosa che conta è come ci sentiamo, quanta attenzione rivolgiamo a quello che abbiamo intorno e alla luce che ci circonda. Per questo motivo scegliere di iniziare questo viaggio significa avere il coraggio di mettere alla prova la parte migliore di sé, quella parte di noi che non ha fretta di dimostrare nulla a nessuno, ma che è capace di gioire di fronte alla visione di una foglia colpita da un meraviglioso controluce. Click.

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    L'osservazione della luce nella fotografia