Esposimetro Esterno: un genio (spesso) incompreso

Esempio di esposizione Spot con il Sistema Zonale semplificato

Indice dei contenuti

    In questo articolo scopriremo la storia, il funzionamento e l’utilizzo dell’esposimetro esterno nella fotografia analogica.

    Gli esposimetri sono un invenzione piuttosto recente nel panorama della fotografia, consentendo, insieme a emulsioni più rapide e macchine fotografiche più compatte e performanti, la diffusione della fotografia così come la conosciamo oggi.

    Tuttavia, la gran parte di chi ha in mano una macchina fotografica, spesso utilizza gli indicatori di esposizione all’interno del proprio oculare (quando ve ne sono) come un riferimento “assoluto” con il giusto fine di impostare diaframma e tempi, ma scordandosi che questa indicazione è quasi sempre relativa ad una media ponderata della luminosità della scena, e quindi che dovrebbe essere presa come base di partenza, quasi mai di arrivo.

    Avere un esposimetro esterno non è solo importante per esporre correttamente i nostri scatti, ma soprattutto ci consente di bilanciare in maniera esatta tutto lo spettro di luminosità presenti nella scena, per esempio tra una luce che arriva di fronte al nostro soggetto, insieme ad una di spalle e della quale vogliamo coglierne l’effetto complessivo, perché il nostro scopo, non dimentichiamocelo, è sempre quello di ottenere un negativo che sia già vicinissimo alla pre-visualizzazione della stampa (o post produzione) finale.

    Ma andiamo con ordine e partiamo dal principio, ecco di cosa parleremo in questo articolo:

    I nostri occhi non sono obiettivi

    Nella moltitudine delle specie presenti sul nostro pianeta, gli animali si sono evoluti e adattati praticamente a ogni condizioni di vita.

    Un’aquila reale. Foto di werner22brigitte

    In maniera similare lo è stato anche per l’uomo che, nei millenni che l’hanno separato dai suoi antenati arboricoli, adattamento dopo adattamento, è arrivato alla forma (e alle funzioni) che conosciamo oggi.

    Tali forme e funzioni non sono perfette, non possiamo infatti dire di possedere i migliori occhi in circolazione… Insomma, un’aquila, in fatto di dettagli e di risoluzione sulla lunga distanza ci straccia senza problemi (può vedere un coniglio a circa 3 km di distanza in maniera piuttosto dettagliata), molte specie di farfalle vedono i colori ultravioletti, (che noi non vediamo), per non parlare del vedere al buio, dove certamente siamo in fondo alla classifica.

    Ma non si tratta solamente di risoluzione, i nostri occhi (e il nostro cervello) si sono evoluti con prerogative specifiche, come, per esempio:

    Distinguere meglio alcuni colori da altri, vedere meglio frontalmente (uomini) che lateralmente (donne), solo per fare alcuni esempi, e restando in tema arriviamo al punto dolente: l’illusione ottica.

    Come per l’apparato uditivo con il suono, anche gli occhi si adattano alla luce che ricevono, esattamente come facciamo con il diaframma dei nostri obiettivi chiudendolo quando riceve troppa luce, il punto però è che

    I nostri occhi non sono affatto obiettivi, in tutti i sensi.

    Messi infatti di fronte ad una stessa scena in condizioni di illuminazione lievemente differente, essa ci apparirà completamente sbilanciata: o molto più scura o molto più chiara di come essa è nella realtà.

    Non ci credete?

    Facciamo un test con questa animazione.

    Come vedi la barra centrale? E’sempre uniforme o cambia a seconda dello sfondo?

    Incredibile vero?…

    Come possiamo notare, la barra grigia al centro è uniforme solo se abbiamo dietro uno sfondo uniforme, ma ci appare più chiara da un lato semplicemente sovrapponendoci uno sfondo graduato!

    In sostanza, il nostro cervello non riesce a gestire questo semplice sbilanciamento di luminosità.

    Forse è il caso di affidarci ad uno strumento più…obiettivo.

    Come “ragiona” un esposimetro

    come ragiona un esposimetro

    Dato che ogni misura ha bisogno di basarsi su una convenzione globalmente accettata, anche la misurazione della luce ha la propria, senza la quale sarebbe impossibile mettersi d’accordo su qualsiasi tipo di misurazione.

    La fotografia prese in prestito dalla tipografia e dalla stampa serigrafica del 1880 la prima pietra miliare della misurazione della luce, ovvero il concetto di Grigio Medio.

    Ma prima di raccontarvi qualche aneddoto riguardo questo importantissimo grigio, torniamo al nostro esposimetro e alle sue regole, che in fondo solo il motivo per il quale state leggendo questo articolo.

    Ecco allora come “ragiona” un’esposimetro:

    "L’esposimetro è costruito e tarato per leggere solamente un valore: il Grigio Medio.

    Questo Grigio Medio è la sola ed unica informazione che ogni esposimetro è in grado di leggere.

    Ma cosa significa in pratica?

    In pratica, significa che, puntando il nostro esposimetro in QUALSIASI direzione, esso IMMAGINA CHE QUELLA LUMINOSITÀ SIA UNA MEDIA DELLA SCENA LUMINOSA, non importa se lo stiamo puntando sul sole o in una grotta buia.

    Per questo motivo, se puntiamo un esposimetro SPOT su un foglio BIANCO esso (una volta esposto con quei valori) ce lo rappresenterà… GRIGIO.

    Se puntiamo lo stesso esposimetro SPOT su un foglio NERO esso (una volta esposto con quei valori) ce lo rappresenterà ugualmente… GRIGIO.

    Ma questo grigio è il suo parametro di riferimento, e non la verità assoluta.

    ANZI, per noi è proprio un punto di partenza per valutare, partendo da quel grigio, cosa vogliamo ottenere, e nel prossimo capitolo capiremo come fare a farlo.

    Ma come mai questo grigio? Da dove mai arriva? Questa convenzione riassunta nel famoso “Middle Grey”,ha in effetti qualcosa di particolare.

    Seguitemi, perché stiamo scoprendo una storia davvero interessante.

    Dalla tipografia alla geometria: la storia del “vero” grigio medio

    Ad un prima impressione siamo tutti certi che, essendo questo grigio medio, esattamente in mezzo tra un bianco ed un nero, sia di fatto una media matematica dei due colori, giusto?

    Facciamo una prova pratica.

    Prendiamo un cartoncino come per esempio questo qua a sinistra della X-Rite e misuriamo, con un esposimetro Spot, la zona bianca, poi la nera e poi quella grigia. Il cartoncino serve proprio a questo, giusto?

    Prima di fare questa misurazione però abbiamo bisogno di impostare l’esposimetro con una misurazione in Foot/Candle x m², in modo che ci restituisca un valore numerico univoco. Non riusciremo a farlo con i normali valori di stop/diaframma.

    Misuriamo:

    1. La zona Nianca è uguale a 90 Cd/m²

    2. La zona Nera è uguale 1400 Cd/m²

    Ora, ci aspetteremmo che il valore del grigio medio sia la media dei due estremi, giusto? Quindi dovrebbe essere qualcosa intorno a 745 Cd/m².

    Misuriamo: hem… no, nemmeno vicino.

    Il valore misurato del grigio medio è in realtà di 360 √…

    Questo perché il Grigio Medio non è in realtà ricavato da una media matematica, bensì da una media… GEOMETRICA!

    Se prendiamo infatti 90x1400 = 126,000 Cd/m²

    √ 126,000 = 354,9

    Molto vicino al nostro 360 Cd/m, non ti pare?

    Questo concetto della media geometrica era un metodo che già nei primi del ‘900 usavano per stabilire proprio la media tra il bianco ed il nero, con un rapporto tra questi due estremi pari a 60:1.

    Il Grigio Medio risultava essere quindi il 12,9% dell’intensità del bianco.

    Ma non era il Grigio Medio al 18%?…

    Il 18% risale da un processo di stampa serigrafica a mezzi toni risalente al 1880

    Questo processo usava rappresentare le immagini in una sola tonalità di colore ma attraverso centinaia di micro immagini puntiformi di differente diametro. Questa tecnica confidava infatti nell’illusione ottica che ne simulava differenti sfumature di grigi.

    Ci ricorda forse qualcosa?…

    Le carte al 18% servivano proprio per la calibrazione del flusso dell’inchiostro in tipografia.

    Pattern di punti neri della stampa serigrafica a mezzi toni

    Il 18% di queste card significano che esse riflettono il 18% di luce.

    Il 18% di riflettanza, in tipografia, è esattamente al centro di un range che va dal 3.5% di riflettanza del nero, al 95% di riflettanza del bianco.

    Parametri di riflettanza nella stampa

    Quando Ansel Adams, nel 1941, insieme a Fred Archer, pubblicarono il Sistema Zonale, usavano proprio le carte di riflettanza al 18% per definire con certezza il loro Grigio Medio.

    Ma…

    Lo stesso Adams, nello spiegare come usare la grey card del 18% raccomandò di inclinarla per metà nella direzione della luce.

    Questo, di fatto, porta ad una carta un poco più chiara…

    Vi ricordate il 12,8%?

    NEL 1971, LA ANSI PH.3 49 (GENERAL-PURPOSE PHOTOGRAPHIC EXPOSURE METERS) STABILÌ PROPRIO IL 12,8% COME STANDARD DI GRIGIO MEDIO PER LA RACCOLTA DELLA LUCE.

    Il sistema zonale (semplificato)

    Abbiamo visto che l’esposizione a luce incidente ci da una lettura della luminosità complessiva che colpisce il soggetto, indipendentemente da quest’ultimo, invece

    La modalità Spot, come vedremo negli esempi pratici in seguito, ci fornisce una lettura esposimetrica della luce RIFLESSA in un determinato punto della scena.

    Ci sono infatti situazioni in cui vogliamo riprendere una scena più complessa e in maniera più accurata, per esempio per scoprire quando luci e ombre possono superare la latitudine di posa della nostra pellicola e dobbiamo stabilire a priori come gestire questa situazione in fase di scatto (ed eventualmente di sviluppo).

    Usando quindi la lettura esposimetrica Spot, prenderemo più esposizioni e decideremo, con l’aiuto del Sistema Zonale (in questo caso semplificato) dove posizionare la luminosità dell’intera scena, per quello che vogliamo rappresentare e anche tenendo conto della gamma dinamica.

    Vediamo allora, nella pratica, come usare questo strumento in maniera appropriata.

    Il Sistema Zonale di Ansel Adams è stato, e rimane, un punto di riferimento per i fotografi analogici. Ne parliamo in questa fase perché ci viene in grande aiuto nella visualizzazione grafica della luminosità in relazione agli stop fotografici, una visualizzazione che ci aiuterà quindi anche a valorizzare l’uso dell’esposimetro in modalità Stop.

    Come vediamo nell’immagine sotto, Ansel Adams divide le scene luminose in 10 zone, dove agli estremi abbiamo il bianco e il nero puro, ed in mezzo, nella zona 5, il grigio medio.

    Il sistema zonale e le 10 zone di luminosità

    Tra una zona e l’altra abbiamo una differenza pari ad uno stop.

    Il sistema zonale e le 10 zone di luminosità

    Per esempio, se avessimo un esposizione di un 125°/f 5.6 nella zona 5, la zona 6 sarebbe uno stop più chiaro, quindi un 125°/f 4 e così via, più quindi si sale nella scala e più luce dobbiamo far passare, più si scende, più dovremo chiudere l’otturatore, non dobbiamo cioè pensare di rimisurare le zone con l’esposimetro, ma semplicemente prendere un’esposizione, e da quella muoverci.

    Facciamo allora un esempio pratico del sistema zonale semplificato.

    Se riprendo una zona dombra con dettaglio, questa verrà rappresentata dal sistema zonale (e nell’immagine finale, a meno di altre scelte creative) nella zona 3.

    Questa zona 3 è una zona in cui vogliamo avere le ombre con dettaglio.

    Il sistema zonale è stato creato basandosi sugli esposimetri e sulla gamma tonale, per cui può essere considerato come un riferimento sempre valido.

    Se riprendo un prato illuminato dal sole, per esempio, questo sarà quasi certamente in zona 5, oppure le nuvole, delle belle nuvole paffute e soffici, esse saranno posizionate in zona 8, un punto in cui avremo buoni dettagli, ma oltre il quale inizieremo a bruciare la nostra pellicola. Possiamo insomma usare questi esempi come dei riferimenti, e con la pratica aggiungerne magari altri.

    Proseguiamo.

    Come abbiamo visto prima:

    QUANDO PUNTIAMO L’ESPOSIMETRO SU QUALSIASI ZONA LUMINOSA, ESSA VIENE INTERPRETATA DALL’ESPOSIMETRO SEMPRE COME ZONA 5 (V).

    Quello che ci interessa davvero, quindi, è la DIFFERENZA DI LUMINOSITÀ DELLE SCENE che stiamo riprendendo, e in particolare per arrivare al fulcro di questo capitolo sul sistema zonale semplificato, la differenza TRA LA ZONA 3 (ombre con dettaglio) e la ZONA 8 (ombre con dettaglio).

    Questa differenza è pari a 5 stop.

    Questa è la nostra normale latitudine di posa, cioè la sicurezza di avere, con un normale sviluppo, un negativo con i dettagli sia in luce che in ombra.

    La differenza di luminosità è quindi il punto da tenere a mente quando prendiamo più esposizioni di una stessa scena.

    Iniziare a “vedere” queste ampiezze di luminosità ci prepara a compiere scelte tecniche per rappresentare correttamente la nostra visione.

     
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    Esposimetro esterno:tre modi per usarlo da professionista